Un altra bella recensione di Fabrizio C.
“Every breath we
take” dei Jazz Fantasy

SPLASC(H) RECORDS 2005
Norbert Dalsass – bass
Roman Hinteregger – drums
Michele Giro –
piano
Franco
Ambrosetti – trumpet
Andy Schnoz –
guitar
Marco Gotti –
sax, clarinet |
1.Shape on my heart
2.Moon over Bourbon Street
3.Golden fields
4.Perfect love…gone wrong
5.Heavy cloud, no rain
6.Dienda
7.La belle dame sans regrets
8.Dream of the blue turtles
9.Every breath you take
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E’ ancora
fortunatamente tempo di riletture in Italia, di riproposizioni
in forma jazzistica di autori di grande spessore e, stavolta,
di grande popolarità: “Every breath we take” dei Jazz Fantasy
propone un’interessante interpretazione di brani ben noti
dell’eclettico Sting. Perché proprio l’ex Police? Da una parte
la scelta non può sorprendere: egli ha più volte impreziosito
la propria crescita artistica accostandosi al jazz negli
arrangiamenti e nelle costruzioni stesse delle tracks,
particolarmente negli ultimi cd e, soprattutto, nelle
esibizioni dal vivo (una su tutte: il concerto serale dell’11
settembre - quell’11 settembre- in cui modificò il palinsesto
perché nulla poteva essere più come prima, dando vita ad un
evento magnifico per sensibilità e per caratura artistica) e
nella scelta di band composte da strumentisti quali Brandford
Marsalis, Kenny Kikland, Jason Rebello, Dave Hartley,
Christian McBride, John Barclay, solo per ricordarne alcuni.
Norbert Dalsass, bassista di talento sicuro ed ideatore del
progetto, ha in tal senso “seguito un’intuizione, un’immagine
che da dentro creava le proprie regole, pur usando materiale
tradizionale”, nella convinzione che “tutto può essere tema,
standard: la creatività sta nell’approccio e nella libertà di
avere un’altra opinione musicale”, come coerentemente afferma
nella nostra corrispondenza notturna. Come non condividere le
parole di Norbert? Egli incontra Roman Hinteregger,
batterista, e Michele Giro, pianista, artisti diversi per
temperamento, formazione musicale e gusto: “e qui troviamo
Sting, musicista di vocazione, solitario, sempre in movimento,
in tensione; i suoi brani esprimono una grande spiritualità
…il jazz era per lui il modo per togliersi di dosso le rigide
regole del pop e del rock: ha fiutato la sua pista verso il
futuro, ha visto e seguito chi come lui non ignora (o non
ignorava) ciò che viene suonato nel nostro tempo, senza mai
cadere nel banale”. Nel “chi come lui” come non immaginare
Miles Davis, per chi ne conosce a fondo le ultime evoluzioni,
geniali riletture di sonorità “black” o addirittura pop o rap?
Del resto i jazzisti sono sempre stati molto attenti a ciò che
si suonava “fuori”, lontano dalle proprie sale d’incisione o
dei locali in cui s’improvvisava sul pentagramma, o meglio sul
ricordo degli accordi, di “Summertime”, “How high the moon”,
“Over the rainbow”, “Try a little tenderness”, “Beguine the
Beguine”, “September song”, volendo solo menzionare alcune
canzoni (sì, canzoni) divenute standards nel repertorio di
qualunque strumentista.
Il cd si apre con
“Shape on my heart”; dall’incipit si ha la sensazione di
trovarsi di fronte ad una semplice ballad, alla solita ballad
che prima o poi arriva in qualunque album jazz. Il tema,
l’inserzione del basso, voce melodica nel brano, poi giunge
l’improvvisazione di Michele Giro, aperta, ariosa, una
timbrica bop nell’architettura musicale del trio che dà luogo
a coloriture emozionanti, vibranti, ben sostenute dal drumming
di Roman Hinteregger, corposo e puntuale nei breaks, per poi
tornare alle note iniziali, soffiate, pensose, tenere e
malinconiche: a giudizio di chi scrive, un piccolo gioiello di
sensibilità e di valentia espressiva, da ascoltare e
riascoltare per coglierne l’anima e, tecnicamente,
l’eclettismo purissimo dei tre della ritmica.
Il secondo brano,
“Moon over Bourbon Street”, apre al sestetto: la tromba di uno
dei decani delle “blue notes”, Franco Ambrosetti, fraseggia
morbida, una voce molto personale, vellutata e fresca nel
linguaggio, un assolo in perfetta concordanza con l’armonia
della rilettura, ben calibrato e tendenzialmente
intimistico. Poi i due minuti di “Golden fields” per il
piano solo di Michele Giro, la sintesi lirica del progetto:
uno sguardo rivolto all’infinito, un attimo di sospensione
emozionante per poi giungere a”Dienda”. Questa sesta track “è
uno dei macchinari nascosti ma tipici per Sting: un tema che
si ripete due volte in cui la base armonica sottostante non è
la stessa”, come ricorda Norbert. Un volo sonoro in continua
evoluzione, sottolineato dal clarinetto di Marco Gotti prima
e dal piano di Massimo poi: la composizione è di Kenny
Kirkland e già per sua natura di un’eleganza particolare,
direi “aristocratica”, resa ancor più intensa dalla
concordanza con la quale si muove la ritmica. Sembra forse
essere il centro sintattico dell’album, la chiave di lettura
che poi verrà svelata con l’ultimo brano, “Every breat you
take”, nella considerazione di una progettazione compiuta,
logica, e spesso raffinata :”il tutto è come una catena, la
parte iniziale deve congiungersi con quella finale”, ricorda
il bassista. E così è: un evento circolare da sentire più
volte, solo in tal modo ci si può accorgere dei diversi
registri tonali adottati nell’arrangiamento dell’opera:
dall’ironia all’introspezione, dalla briosità all’adozione di
alcune forme post-hardbop(come in “Dream of the blue turtles”),
frutto di elaborazione tecnica davvero degna di nota e,
fortunatamente, tutt’altro che accademica.
“Every breath you
take”, si diceva, ebbene l’intreccio linguistico e concettuale
del “we” del titolo del cd e dello “you” di quello del brano
può essere sciolto. “Il titolo esprime il nostro modo
di sentire e suonare”, ancora afferma Norbert. Le note corrono
donando intensa suggestione; dietro, gli effetti percussivi di
Roman creano un’atmosfera unica, notturna, lirica, ancora una
volta proiettata all’infinito, nella quale i ricami sonori
della chitarra di Andy Schnoz offrono un cromatismo d’assieme
struggente, meditante, flebile e delicato come un alito di
vento, come ogni respiro che intendiamo non più controllare,
volendo far riferimento non etimologico al “nome” del brano.
La circolarità è
compiuta, si può ora anche riascoltare, iniziare di nuovo
questo viaggio dai molti scali, senza (grazie al cielo)
certezze formali e sicurezze che il jazz non può dare… perché
“vive” – dice ancora Norbert. E come non essere d’accordo con
lui?
Il costo del cd è
di 15 euro.
Fabrizio
Ciccarelli
egozero@alice.it
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