DCMB e
Trasformatori di uscita autocompensati.
Molto rapidamente,
vorrei chiarire alcuni punti che riguardano i due suddetti
argomenti, soprattutto per rettificare alcune osservazioni e
conclusioni formulate sul forum ( il nostro ed altri).
Inizio dal DCMB,
oggetto del certificato di utilità n°0010103 (non si tratta di un
brevetto) concesso dall’Istituto Nazionale Francese della
proprietà Industriale ( INPÏ ), in seguito alla richiesta
depositata nell’agosto 2000.
Come molti critici
hanno osservato, il sistema è molto simile ( ma non ispirato) alla
circuitazione di Loftin e White, brevettato nel 1928 o 1929.
In pratica, anzichè
prelevare la tensione dello stadio pilota sul percorso
dell’alimentazione generale ed unica, il DCMB si avvale di una
sezione di alimentazione dedicata, quindi indipendente da quella
dello stadio di potenza.
Come potete dedurre
senza sforzo, non si tratta di un’invenzione, ma di un’alternativa
con pretese di miglioramento. Ed, infatti, nel corso del lavoro di
applicazione di detto circuito, mi sono accorto che il DCMB
« alleggerisce » ( e di parecchio) il sistema Loftin e White,
permettendo non soltanto una maggiore facilità del posizionamento,
ma riducendo le necessità di regolazioni laboriose ed
incrementando la stabilità, senza la necessità di stabilizzatori
di tensione o corrente.
Con mia sorpresa, ho
potuto rilevare che il DCMB offre dei vantaggi a prima vista non
percepibili, quali ad esempio la possibilità di introdurre una
retroazione diretta, dall’anodo alla griglia della valvola
di potenza, attraverso una resistenza di valore adeguato.

- Ampli King III - vista esterna di
Ari
La sigla DCMB
significa Direct Coupling Modulated Bias.
All’origine delle
ricerche da me compiute vi sono tre motivazioni di base :
-
La decisione di sopprimere il maggior numero di
condensatori sul percorso del segnale.
-
La ricerca di semplificazione spinta
all’estremo.
-
La scelta della circuitazione Single Ended,
piuttosto che il push-pull, considerato
«buono» solo a
determinate condizioni difficilmente raggiungibili e mantenibili
(in
particolare la
perfezione dello stadio invertitore, sia in ampiezza, sia in
fase).
Nel Single ended, la
potenza è fornita, comunemente, da una sola valvola (*), la quale
lavora « senza rendere conto del suo operato » ad altre valvole
che, malgrado la pretesa di poter essere « appaiate » , sono
dissimili (**).
Inoltre, basta un buon
stadio di amplificazione, con la sezione di pilotaggio a bassa
resistenza, per assicurare la tensione necessaria di escusione
della griglia della valvola finale, pur rispettando alcuni
« must » . ( il tutto, of course, con collegamento diretto).
Si tratta di verità
che, nonostante siano lapalissiane, hanno un peso determinante sul
suono dell’amplificatore. E’ incredibile che spesso molti autori e
relatori tendano a nasconderle, preferendo risfornare i più
tranquilli ( anche se tarati ) circuiti « classici » .
In due parole, ecco la
sostanza delle motivazioni che portano al DCMB :-
a)
più un amplificatore
audio è semplice, meno problemi vi possono essere.
In altre parole : meno
componenti si hanno nel circuito, minori sono le probabilità che
il segnale, se deve attraversarli, sia corrotto.
b)
più l’amplificazione è
omogenea e la gamma di frequenza larga, migliore è il
suono, in
termini di fedeltà di ripoduzione (timbrica). Finiti i tempi in
cui ( anche qui
per necessità
più che per leggerezza) si sosteneva che a nulla servisse
amplificare le
frequenze
superiori a 16 kHz ( « tanto non sono percepibili
dall’orecchio »), ignorando
che le armoniche
contribuiscono alla formazione dell’involucro sonoro (envelope)
che
caratterizza il
suono originale. Almeno, cio’ è quanto
ho assimilato leggendo
alcuni articoli sulle ricerche di scienziati di
fama. Per molti conviene non tenerne
conto, tanto…non
cambia niente. A me, senza voler avanzare alcuna pretesa, sembra
chiaro che la
gestione di un segnale complesso, composto da un fascio di
segnali
diversi sul
piano dell’ampiezza, della frequenza e del tempo possa essere
difficilmente
assicurata da un
circuito complesso basato su un equilibrio presto annullato da
una
lieve variazione
del valore dei componenti, nel tempo, o da +/- X gradi centigradi.
Questa è la mia
logica, giusta o sbagliata.
I circuiti a
transistor sono fantastici e sono frutto di elaborati calcoli e
scelte, ma vi
posso mostrare
le foto di una dozzina di apparecchi che, in pochi anni, hanno
reso
l’anima, senza
che io sia stato in grado di soccorrerli, tra i quali anche un
costoso
generatore di
segnali. Gettarli via ? E’ contrario ai miei principi.
Riparali ? Neanche a pensarci.
Lo sapete
meglio di me quanto costi chiamare un tecnico o portare
l’apparecchio in un
laboratorio
specializzato ( fortunati quelli che sono in grado di fare la
riparazione da
soli, se
riescono a sostituire l’integrato
G20N60B3D-VFC della Toshiba o IRC).
Di contrasto, un
apparecchio a valvole, che sincerità ( anche i push-pull, ma mai
quanto i SE) !
Ora, la prima
obbiezione che ho sentito per il DCMB è : Due alimentazioni ?
Perchè questo spreco e complicazione ?
Bene. Cosa avete
come alternativa ? Ignoriamo per il momento la presenza nefasta
del condensatore di accoppiamento “economico” ( ho scartato l’idea
di quelli “nobili”, perchè costerebbero il doppio
dell’alimentatore ausiliario necessario al DCMB ).
La polarizzazione
catodica ? OK. Prendiamo la 6C33C-B o valvole della stessa stazza
(molte di esse stanno diventando di moda). La resistenza interna è
di 100 ohms, la polarizzazione necessaria di – 90 V . Usata
correntemente a 200mA di corrente anodica, la resistenza catodica,
per ottenere i suddetti – 90 V, dovrebbe essere di ben 450 ohms,
ossia più di quattro volte la resistenza interna della valvola,
con una dissipazione di 90 W !
Meno pesante è il caso
di una 300B, funzionante ad 85 mA di corrente anodica. Tuttavia,
anche qui, la resistenza anodica per la polarizzazione ( diciamo
di -85 V ) sarà di 1000 ohms, contro gli 800 ohms di resistenza
interna .
In entrambi i casi
viene logorato il fattore di smorzamento, oltre la dispersione in
calore di 85-90 W .
C’è la polarizzazione
fissa, ottenuta con un avvolgimento extra sul T.A. , ma, non
illudetevi, il costo totale, inclusa la sezione di filtro, non è
di molto inferiore ad un’alimentazione separata per lo stadio
pilota, senza presentarne i vantaggi, dato che l’accoppiamento tra
lo stadio pilota ed i finali deve farsi tramite condensatore.
I tempi sono cambiati,
da quando si progettavano i primi amplificatori. Non spaventa più
l’idea di usare dei condensatori di filtro da 470 o 1000µF, anche
se non sono regalati ed il costo di un trasformatore di
alimentazione separato per lo stadio pilota ( e preferibilmente
anche per i filamenti delle valvole finali, in modo che, con un
certo anticipo sull’invio della forte corrente destinata a queste
ultime, esse siano già scaldate e polarizzate ), non è proibitivo.
Se, da un lato, si è
dovuto rinforzare la sezione di alimentazione ( il che non
comporta difficoltà di realizzazione per un autocostruttore alle
prime armi), abbiamo, in compenso, addirittura un crollo
flagrante nel numero di componenti delle sezioni amplificatione
del segnale debole / pilotaggio / potenza. In effetti essa si
riduce a valvole, zoccoli ed una dozzina di componenti normali,
tra resistenze e condensatori.
Quando e se vi
convincerete a costruire un amplificatore DCMB, vi accorgerete
anche che potrete :-
i)
Costruire prima la parte
amplificazione/pilotaggio/potenza, in modo ottimale, sia per
quanto riguarda la scelta dei componenti che il loro
posizionamento.
ii)
Completare con gli
alimentatori, che possono essere anche ad una certza distanza,
dopo averne verificato tensioni e corrente a vuoto e con un carico
resistivo esterno.
iii)
Collegare, con soli tre
fili ( +AT finali ; - AT stadio pilota ed infine il filo comune (
- AT finali & + AT stadio pilota ) le sorgenti di corrente
continua, inserendo i dovuti fusibili di protezione ;
collegare i cavi di
alimentazione dei filamenti ( generalmente quattro ) di sezione
maggiore.
Questi collegamenti
sono evidenziati negli schemi da me pubblicati.
iv)
Regolare la corrente a
riposo delle valvole finali azionando un solo
potenziometro comunissimo ( ossia non di potenza), sorvegliando
nel contempo la
corrente
da un punto di test, con un voltmetro ( fisso o esterno ).
v)
Inoltre, per i controlli
avanzati, variare la tensione dei finali e, nel contempo la
polarizzazione, fino ad ottimizzare l’erogazione di potenza e
migliorare il tasso di
distorsione.
vi)
Sempre per i controlli
più sofisticati, se adotterete i circuiti DCMB pubblicati, con
la
resistenza che fornisce una corrente supplementare al catodo della
valvola pilota,
constaterete che detta resistenza trasmette anche, in opposizione
di fase, le
imperfezioni della tensione di alimentazione, cancellandone un
buon 75 % .
Nel caso
di filtraggio efficace, cio’ significa far scomparire sotto la
soglia di
ascolto, qualsiasi rumore indesiderato infiltrato dalla rete, o
prodotto dai diodi allo
stato
solido.
Qualcuno mi ha
rimproverato di parlare troppo spesso del sistema DCMB, ma non
vedo altre possibilità per farlo conoscere ed apprezzare.
In un forum
governato da quattro sapientoni ( molto eruditi in realtà, anche
se, a mio avviso, dalle nozioni imparate a memoria come una poesia
e con esperienze limitate a quanto siano convinti funzioni bene e
solo quello) mi è stato fatto presente che, contrariamente a
quanto ho sempre sostenuto, VI E’ un condensatore sul percorso del
segnale, e più precisamente quello di fintraggio dell’alta
tensione dei finali.
E’ vero, ma vorrei
precisare che il sistema DCMB trasmette IL MESSAGGIO DI
PILOTAGGIO, senza l’intermediazione del “blocking capacitor” ossia
del condensatore di accoppiamento la cui presenza è indispensabile
per bloccare la corrente continua.
Ed è a questo
tratto che intendevo riferirmi.
Inoltre, il DCMB
permette alla valvola di potenza di funzionare con una resistenza
nel percorso, limitata a quella interna della valvola, quella del
TU e quella della sezione di alimentazione, sopprimendo quella (
enorme ) catodica. Di pari passo viene
soppresso il condensatore in parallelo a quest’ultima, CHE E’ SUL
PERCORSO DEL SEGNALE.
Nell’alternativa di
polarizzazione fissa, non si ha questo svantaggio, ma il problema
si sposta sui condensatori dell’alimentatore di tensione negativa
CHE SONO SUL PERCORSO DEL SEGNALE.
La situazione è un po’
migliore nei vari casi di accoppiamento diretto che pero’ , a mio
avviso, sono sempre più complicati del DCMB.
Ed è l’insieme di
questi vantaggi che fa del DCMB qualcosa di diverso.
Il migliore modo per
scoprire la verità non è quello di credere ciecamente a quanto vi
ripetono i citati sapientoni, la cui esperienza è spesso
assimilata in poltrona e non sul banco di lavoro, ma di provare
voi stessi. Potrete sempre riconvenrtire il vostro amplificatore
negli schemi tradizionali ( collaudati, certamente, ma non
necessariamente moderni) e non venitemi a dire che non c’è più
niente da inventare nè da migliorare.
Non siamo nel medio
evo.
Ari Polisois
(*) o più, in
parallelo. Il caso di due valvole in parallelo si assimila a
quella di una valvola bi-placca, confrontata ad una mono-placca.
(**) cosa significa
« appaiate » ( matched ) ? Alla domanda ho ricevuto due risposte
pseudo-plausibili :
1)
provenienti dallo stesso « batch » di
fabbricazione ( ossia prodotte nello stesso periodo - ? - ).
Come potete immaginare, questa condizione
non puo’ essere una garanzia assoluta, a meno che non siano
prodotte da macchine che superino la precisione degli orologi
svizzeri.
2)
Che siano state misurate
ottenendo gli stessi parametri ( ?? ) .
Quali ? Tensione ?
Corrente ? µ ? Resistenza interna ?
E come si comportano
in condizioni diverse, quali quelle che si riscontrano in
pratica ?

-la vista interna.
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